sabato 23 gennaio 2016

RENZO ARBORE IL GRANDE GIOCATTORE

Renzo ARBORE in MOSTRA al Macro di Testaccio

Renzo Arbore, il grande GiocAttore

Tra videos, radios e cianfrusaglies

Renzo Arbore nella sua casa
Renzo Arbore nella sua casa
23 GEN 2016 
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Secondo Platone «l’uomo è fatto per essere un giocattolo, strumento di Dio, e ciò è veramente la migliore cosa in lui. Egli deve, dunque, seguendo quella natura e giocando i giochi più belli, vivere la sua vita, proprio all’inverso di come fa ora». Aristotele sosteneva che «la società è un grande gioco, nel quale ogni pezzo si muove secondo regole predeterminate». Eraclito scriveva, invece, che «Il tempo della vita è un bimbo che gioca con le tessere di una scacchiera: è il regno sovrano di un bimbo».
Ci sono grandi uomini della storia che sono riusciti a “giocare” con la vita degli uomini portando morte e distruzione, ci sono altri uomini che hanno cercato, invece, di strappare un sorriso all’uomo attraverso “un grande gioco”. Uno di questi talenti è Renzo Arbore, un GiocAttore che ha fatto la storia della televisione italiana riuscendo a far divertire gli italiani per 50 anni semplicemente con il suo gioco.
Non è facile riuscire a ribaltare la realtà e trasformarla in una grande caricatura, ci vuole una grande ironia, un sottile intuito e una raffinata intelligenza. Cerchiamo di comprendere dalla mostra Videos, radios, cianfrusagliesinaugurata il 19 dicembre scorso al Macro di Testaccio, quali oggetti testimonino la fortuna del percorso artistico di Renzo Arbore che lo tiene ancora in auge da oltre cinquant’anni.
Non dimentichiamo che Arbore è considerato uno dei personaggi più eclettici e carismatici del mondo dello spettacolo, della musica e dell’intrattenimento radiofonico e televisivo in Italia. Autore, conduttore e regista di programmi televisivi, showman, regista cinematografico, musicista interprete, autore e compositore di canzoni, giornalista e critico musicale, inventore di nuovi generi, nonché eccezionale scopritore di talenti (televisivi, musicali e cinematografici, uno per tutti: Roberto Benigni), ha avuto il merito di creare uno stile e un linguaggio “arboriano”. In realtà Arbore ha dato luogo a una radio/televisione “altra”, una radio/televisione “d’autore”, divertente e al tempo stessa intelligente, mirata a un pubblico che cogliesse anche il suo messaggio sottile.
Come ha dichiarato lui stesso nel corso della conferenza stampa la mostra può essere definita “rutilante”, di certo fiammeggiante per la fantasia dei colori, per la stravaganza dei gilet, delle magliette, dei cappelli esposti a bella posta per attrarre il collezionista, l’appassionato o semplicemente il curioso. Vetrine e vetrine di prodotti scaturiti dalla genialità di artisti che hanno mutato lo standard per rendere originale l’oggetto, a volte attraverso forme note modificate nel loro aspetto e senza un valore intrinseco, il più delle volte mediante piccoli capolavori creati da veri e propri artisti che inscenano delle varianti immaginifiche dell’oggetto per stupirci, a volte sono i materiali usati a essere preziosi, anche laddove si tratti di plastiche che – come sostiene Renzo da collezionista appassionato – esistono in una infinità di tipi e specie.
Tutto ciò che è “altro” attrae l’attenzione del nostro artista, per esempio una cornetta che si allunga per creare la curiosità dello spettatore. Nel percorso museale allestito si potrebbe passare un pomeriggio ad ammirare la varietà e l’inventiva delle cravatte esposte, le colorazioni e i disegni eccentrici delle magliette, i modelli bizzarri dei copricapo e la pregiata fattura dei gilet d’autore incorniciati come quadri, ma certo non si può prescindere dai pezzi importanti legati alla musica, come strumenti musicali, clarinetti in particolare, personaggi del mondo del jazz, stampe, immagini, fotografie e un’infinità di video.
È stato un lavoro certosino quello di montare i filmati, far scorrere immagini della vita artistica di Renzo, donne e uomini che hanno fatto la televisione, ai tempi in cui ancora aveva qualcosa da dire, per lo meno in quella dimensione “altra” che riguarda sempre il nostro artista. La Direttrice del Macro, Federica Pirani, ha presentato l’evento espositivo indicandolo come un importante momento culturale: in realtà quel modo di fare televisione, spettacolo, intrattenimento, era comunque una maniera di trasmettere ironicamente allo spettatore delle idee anche sul mondo. Arbore ha criticato la società deridendola senza offenderla, come avrebbero voluto fare migliaia di cittadini arrabbiati ma senza il suo talento e anche questo è stato un modo di fare cultura.
Renzo racconta di essere stato fatto Consigliere della Discoteca di Stato, ora Istituto Centrale per i Beni Sonori ed Audiovisivi, istituita nel 1928 per raccogliere le testimonianze orali dei protagonisti della Grande Guerra. Dal 1975 la Discoteca, passata alle dipendenze del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, ora Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ha il compito di acquisire, documentare, conservare e divulgare il patrimonio sonoro nazionale e le fonti orali della storia italiana, nonché i documenti sonori di produzione internazionale di particolare interesse, oltre 300.000 supporti tra rulli di cera, dischi, nastri, CD e video, e poi grammofoni e fonografi, materiale fotografico, locandine e documentazione sull'industria fonografica degli anni Trenta, fonografi, grammofoni e strumenti di lavorazione del suono tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento. Lo spirito della raccolta curata nell’ambito della Discoteca, ha ispirato l’originalità di questa mostra.
Arbore racconta che “Il gatto e la volpe”, Giovanni Licheri e Alida Cappellini, gli allestitori della mostra, sono entrati nella sua abitazione di notte e hanno sottratto tutti gli oggetti esposti costringendolo a privarsene per il tempo necessario… , con la complicità della sorella Sabrina che li ha guidati nella scelta. Questa mostra è l’Altra Mostra, perché Arbore è quello dell’Altro, dell’Altra Domenica, dell’Altra Radio, dell’Altra Televisione, dell’Altro Cinema, dell’Altra Musica, dell’Altra Canzone Napoletana, sempre orientato verso un Altrove che lo conduce alla scoperta di cose nuove.
Del resto il suo destino doveva essere tutt’Altro. Renzo, infatti, si era laureato in Giurisprudenza a Napoli nel 1963, ma non aveva mai pensato “sul serio” di fare l’avvocato. Nemmeno voleva fare il dentista, professione di suo padre, tant’è che quando gli hanno fatto indossare il camice bianco è svenuto alla vista del sangue. Quello non era un mestiere che lo appassionava, lui desiderava, invece, essere un musicista. Così, mentre studiava le note stonate della Giurisprudenza, portava avanti il suo sogno insieme a un gruppetto di amici, come Gino Paoli, Mina, Peppino di Capri, Gigi Proietti, ecc., che come lui sarebbero diventati famosi. Suo padre lo pregò di prendersi una laurea e poi gli concesse un anno sabbatico per cercare di diventare musicista. Arbore partecipò, quindi, a un Concorso della Rai e fortunatamente fu preso. E così iniziò alla radio insieme a Giandomenico Boncompagni conBandiera Gialla nel 1965, per proseguire con Per Voi Giovani tra il 1967 e il 1968 e approdare in Alto Gradimentotra il 1970 e il 1981.
In realtà poi gli studi di Legge non gli sono stati del tutto inutili perché architettare un programma televisivo è come un articolo del codice. Inoltre, in un programma televisivo di intrattenimento, andato in onda dal 27 gennaio al 24 febbraio 1990 per cinque sabati in prima serata su Rai Uno, intitolato Processo a Sanremo, Arbore interpretava il personaggio del Giudice, mentre Banfi impersonava l’Avvocato della Difesa e Michele Mirabella l’Avvocato dell’Accusa. Il programma, proposto in vista del Festival di Sanremo 1990, aveva come sigla d'aperturaChe ne parliamo a fa', e fu impostato come un processo grazie alla sua conoscenza della Giurisprudenza che in qualche modo lo aveva ispirato. «Le leggi dovrebbero dire quello che si deve fare o quello che non si deve fare, si potrebbe dire che anche in questo campo, tra le due cose, io ho fatto Altro, anche se spesso i Magistrati mi considerano un collega... », ironizza il nostro showman.
Nel ’68, epoca di contestazione e cambiamento, Arbore passa dalla radio alla televisione.
Nel 1976 crea il programma L’Altra domenica su Rai2, alternativo al canonico Domenica In trasmesso su Rai1.
Nel 1984, in occasione del 60° anniversario di Radio Rai, cerca di mettere insieme Radio e Televisione.
Il 1985 è l’anno di Quelli della notte, la trasmissione che lo porta al successo con il grande pubblico.
Secondo Arbore il ruolo della Rai dovrebbe essere quello di far conoscere il fondamento dell’arte, della musica, – del jazz, per esempio –, di scoprire il nuovo che c’è in ogni campo artistico. Il nostro paese è il più prezioso al mondo e bisogna esportare la musica, il cinema, il design; gli piacerebbe esportare all’estero la canzone italiana senza tempo: Modugno, Battisti, De Andrè.
Il 1991, infatti, lo vede creare l’Orchestra Italiana con lo scopo di diffondere nel mondo la canzone napoletana.
Lui è rimasto fedele a Radio Rai, affezionato alla famiglia, si ritiene figlio della Rai che ha fatto la vecchia televisione.
Nel 2002 celebra da Maurizio Costanzo la sua carriera di musicista e di showman.
Sembrava si dovesse ritirare, invece continua ancora oggi la sua attività e prosegue la sua raccolta di Videos, radios, cianfrusaglies, ritirarsi significherebbe, infatti, “smettere di giocare” e lui non è ancora pronto…

giovedì 14 gennaio 2016

IL PITTORE AGOSTINO DE ROMANIS

De Romanis e il mondo archetipo

Pittore dell'Animismo

Agostino De Romanis. L'illusione del tempo, 2002, olio su tela, cm. 160 x 240
Agostino De Romanis. L'illusione del tempo, 2002, olio su tela, cm. 160 x 240
5 GEN 2016 
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Il pittore Agostino De Romanis è nato a Velletri il 14 giugno 1947 e si è formato in un territorio ancora tormentato dalla distruzione del dopoguerra, immerso in quelle immagini devastanti fatte di abitazioni diroccate, folle disorientate e persone addolorate per le perdite subite. Questa è stata anche la spinta per il giovane Agostino a volgersi verso il suo mondo interiore per recuperare la speranza che in futuro lo spazio vuoto generato dalla guerra si riempisse di una nuova coscienza.
Non è stato facile popolare la tela bianca ricreando un mondo più umano, ma Agostino non si è arreso dando luogo a una lunga riflessione sulla disgregazione dei corpi e delle anime. E forse proprio per questo motivo, tra un dipinto e l’altro, si è dedicato alla scenografia, allestendo il suo Palcoscenico per la messa in scena di ambienti più intimi dove l’uomo si sentisse accolto, con uno stile dai contorni indistinti che raggiungerà il culmine del discorso poetico in età più matura.
Una prima svolta nella pittura di De Romanis si attua negli anni '70, con la realizzazione di una serie di dipinti che il critico Marcello Venturoli includerà nella corrente della Nuova figurazione di Vespignani, Ferroni, Guerreschi, ecc., un modo di conciliare il realismo esistenziale dell'immediato dopoguerra con un linguaggio pittorico contemporaneo. Un’altra esperienza importante per il nostro artista, nel 1976, è stata quella di illustrareLa Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Agostino dipinge venti straordinari quadri che riflettono la malinconica ansia del Tasso esprimendo, con le giuste tinte, quella condizione dell’uomo sempre attraversata dal dubbio in cui la vita è una “Sfida infernale” dove siamo incessantemente in balia di forza e debolezza e della tentazione diabolica di trasgredire.
La seconda svolta della sua carriera si attua con l’incontro del critico Italo Mussa che, nel 1986, lo inserisce tra gli esponenti della Pittura Colta, un movimento artistico, teorizzato dallo stesso Mussa nel 1980, attento al rigore sia nello studio della forma sia nelle tecniche per realizzarla, con un ritorno alla pittura in chiave postmodernista e con un rifiuto verso ogni facile sperimentalismo. Un passo essenziale per l’avvicinamento al sacro di De Romanis è stato il compito di realizzare, nel 1987, due dipinti per l'abside della chiesa di San Giuseppe Artigiano in Roma intitolati Vecchia e Nuova Alleanza. Un’anticipazione, invece, della sua propensione per il fiabesco, è stata, dal 1988 al 1991, la serie delle Fabulae, come le definisce Domenico Guzzi. Si tratta di “illustrazioni” magiche che «con i tratti del pastello, con le velature dell’acquarello, con il corpo delle resine naturali, poggiando tutto sull’amalgama acrilica, sono il suo mondo. Un mondo in cui il fantastico ha fuor di dubbio il sopravvento sulla realtà».
Negli anni ’90 la verve poetica di De Romanis si estrinseca con l'ideazione e la realizzazione di una straordinaria e avvincente serie di “cento acquerelli” intitolata Acqua Aria Terra e Fuoco che nel 1993 espone nella Cattedrale di St Mary di Sydney. Nel 1995 espone e pubblica, invece, il suo lavoro sui limiti dell’uomo e sui muri che imprigionano l’anima, intitolato Carceri e vie di fuga. Come sostiene, infatti, il critico Vittorio Sgarbi, Agostino si appassiona al tema della «libertà, spirituale e fisica, collettiva e individuale» indagando sulle modalità in cui la prepotenza degli uomini, i meccanismi sociali e le nostre stesse paure, ci condizionano creando muri, pareti e prigioni esistenziali. Nel 2000 Agostino ritorna al sacro dipingendo una serie di 22 quadri sulla cristianità, ispirati a Giovanni Paolo II, un ciclo ititolato Il grande cammino, esposto nell’Abbazia di Casamari e nel Museo diocesano di Velletri, che rappresenta un’altra importante tappa nel suo percorso pittorico.
La terza e fondamentale svolta nell’arte di De Romanis si attua nella serie dei dipinti ispirati all'Indonesia. In verità il primo viaggio di Agostino verso l’Oriente risale al 1978 e, dopo quel primo viaggio, ritorna tante volte in quel posto, in particolare nell’isola di Bali, sempre accompagnato dalla sua compagna Angela. È come se Agostino riscoprisse nelle bellezze di quei luoghi, nella forte presenza della natura, nei riti ormai dimenticati dalla nostra società occidentale, nella potenza dei vulcani e nella grandezza dei fenomeni naturali, quella connessione primordiale dell’uomo con il Tutto, con tutti gli altri Esseri, con la libertà originaria di essere se stessi.
La pittura di De Romanis da quel momento compie un’elevazione che la muta in verità universale. Lo stupore della sua anima tormentata si fa gesto istintivo che esplode nella policromia delle terre, dei rossi appassionati, dei verdi, dei cobalti, dei cieli di doloroso turchese. La luce pervade ogni dipinto, i volti primitivi dei balinesi, la ritualità dei loro gesti, la spontaneità delle scene nell’incanto cromatico del tempo di sogno. Secondo la visione del critico Roberto Luciani, De Romanis riesce ad attuare un «inserimento delle espressioni mistiche dentro le grandi scacchiere dell’origine». Ed evidenzia come il nucleo fondamentale della sua pittura sia la luce: «una luce liquida che scorre in flussi ascensionali e rifluisce in quegli spazi reali o illusori, ad illuminare la complessità delle immagini…». Luciani scorge nell’opera di Agostino quasi una specie di illuminazione dalle ombre che abbiamo dentro: «Nella produzione del maestro affiorano evocati volti e sagome di personaggi misteriosi, dei, occhi, eroi, inquieti idoli rimasti per secoli nascosti sotto la terra. La luce sgorga escludendo ogni ombra e purificando l’immagine dal buio».
Agostino appiattisce l’immagine sulla tela e ne sfuma i contorni esaltandone il colore. Riesce, così, ad attuare quella rappresentazione mentale primaria che fa parte dell'inconscio collettivo, ricreando simboli presenti in tutte le culture e in ogni epoca storica. Bali fornisce lo spunto per manifestare l’archetipo, quella summa di esperienze primordiali dell’umanità sugli aspetti fondamentali della vita che ricorre nel nostro artista. De Romanis scoperchia il pozzo dell’inconscio e lo esplora fino in fondo, facendo emergere dai suoi quadri immagini simboliche, sogni eterei, visioni fantastiche, antiche memorie dei miti, delle fiabe e della religione. Da questa immersione nel mondo orientale scaturiscono una miriade di dipinti che riescono a immortalare l’anima del popolo balinese, «celebrando un altro matrimonio così come avvenne tra Gauguin e Tahiti, tra Agostino De Romanis e le isole indonesiane, tanto che le stesse popolazioni lo considerano uno dei migliori interpreti della loro realtà». Questa abbondanza di dipinti si traduce, naturalmente in una serie di mostre.
Nel 2003 i Musei di S. Salvatore in Lauro di Roma ospitano la serie Riscoprire l'Indonesia - Miti e Leggende, con saggi critici di Vittorio Sgarbi e Italo Moscati. Nel 2004 e 2005 i Musei di Giacarta e Bali espongono i nuovi dipinti della serie Rediscovering Indonesia. Dal 2006 si susseguono esposizioni a Poltu Quatu in Sardegna, a Palermo, a Civitavecchia, a Frosinone, nell'isola di Sant'Antioco e a Roma. Nel 2010 alcuni dipinti di De Romanis sono selezionati dal Ministero Affari Esteri per entrare a far parte della Collezione Farnesina a Roma. Nel 2011 è invitato alla 54ª Esposizione Internazionale d'Arte Biennale di Venezia - Regioni d'Italia a cura di Vittorio Sgarbi. Nel 2012 espone la serie delle opere Il pensiero dipinto - La forza mistica del mondo orientale per la Camera dei deputati, a cura di Vittorio Sgarbi. Nel settembre del 2012, una parte significativa della vita e dell'opera di Agostino De Romanis è rappresentata in un DVD dal titolo L'Indonesia liberata, con la regia di Simone De Rossi. Sempre nel 2012 espone alla Fondazione Elsa Morante di Roma la mostra All'origine delle cosesulla simbologia dei numeri, curata da Roberto Luciani. Nel 2015 Palombi editore pubblica la biografia De Romanis pictor di Antonio Venditti con presentazione di Roberto Luciani.
«All'estremo del suo percorso, dopo aver solcato i sentieri del magico e del religioso, l'arte si è resa autonoma da tutto ciò che non è se stessa ed è diventata redenzione, salvezza dell'umanità: è questo il messaggio che continua a diffondere la pittura sapiente e taumaturgica di De Romanis, per liberare le potenzialità infinite delle nostre anime, per aiutarci a diventare più liberi dentro», scrive Vittorio Sgarbi.
Sono passati cinquant’anni dall’esordio del pittore, oltre 300 dipinti sono stati realizzati nei trent’anni di ricerca nelle isole dello sterminato arcipelago Indonesiano. Essi raccontano dei “mille templi” dell’isola di Bali; della linea di Wallace - confine biologico tra Australia e Asia posto tra Bali e Lombok -, dell’isola del drago di Komodo - la più grande specie di lucertola del mondo -, delle cerimonie funebri delle Sulawesi - dove il defunto, deposto in sarcofaghi a forma di piroga, compie l'ultimo viaggio verso i cimiteri rupestri situati sui fianchi delle montagne, come se stesse affrontando una difficile navigazione -, delle popolazioni mongole dei Batak - che credono nell'esistenza degli spiriti degli antenati ritratti nelle sculture in pietra -, della cultura dei Minangkabau - che riescono a conciliare il matriarcato con la tradizione patriarcale dell'Islam -, della primitiva isola di Siberut, dove il tempo sembra essersi fermato…
La visione animistica di De Romanis, il suo approfondimento junghiano, il suo anelito a conoscere ciè che cova dentro l’anima della Natura, non si limita a rappresentare il Paradiso Perduto delle origini, ma raffigura anche una Natura viva che nel suo movimento può travolgere come mostra in alcune opere fra le quali uno Tsunami. Lo evidenzia Sgarbi dicendo che «i morti travolti dall’onda assassina non sembrano disperati, tornano alla natura che amavano e contemplavano, come in un grande, terribile, ma non doloroso abbraccio. Così, immergendoci nella natura fino alla perdita delle nostre vite, le anime degli uomini si sublimano in essa, diventano la sua stessa anima», infatti lo definisce "pittore dell'Animismo".
La prossima mostra Percorsi recenti è programmata agli inizi del 2016 nella Chiesa di Santa Maria dell’Orto a Roma, sempre a cura di Roberto Luciani.